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Cassazione Civile, Sezione VI, Ordinanza 14 giugno 2012 n. 9765

Come si ripartiscono le spese all'impianto fognante quando le tubazioni non servono l'intiero condominio?

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GOLDONI Umberto – Presidente -
Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere -
Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere -
Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere -
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

O.M.R. ((OMISSIS)), rappresentata e difesa per procura speciale in calce al ricorso dall’Avvocato SOLIMINI Nicola Fabrizio, elettivamente domiciliata in Roma, Via Vestricio Spurinna n. 105, presso lo studio dell’Avvocato Alessandra Gallini;

- ricorrente -

e

B.S. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in Roma, via c. Fracassoni n. 18, presso lo studio legale Venettoni (Avvocato Federico Bailo), rappresentata e difesa, per Procura speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato PETRAROTA Vito;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 1321 del 2009, depositata il 30 dicembre 2009;
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio Del 20 aprile 2012 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti, alla presenza del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio.

Fatto

che con atto di citazione notificato il 21 luglio 1994 L. M., proprietaria di unità immobiliari in un edificio in condominio con O.M.R., conveniva quest’ultima in giudizio dinanzi al Tribunale di Trani, chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 1.400.000, oltre IVA, per la spesa occorsa per la riparazione di una rottura di una condotta fognaria condominiale, con conseguente sversamento di liquami in locale scantinato, di proprietà dell’attrice;

che la convenuta, costituitasi tempestivamente in giudizio, contestava la domanda, sostenendone l’infondatezza in quanto, ex art. 1110 cod. civ., il diritto al rimborso delle spese necessarie per la conservazione della cosa comune era dovuto solo in caso di “trascuratezza” degli altri partecipanti; circostanza questa, a detta della convenuta, non verificatasi nel caso di specie, in quanto la stessa, informata della rottura della condotta fognaria, si era recata con un proprio tecnico all’interno del locale scantinato e aveva concordato con la parte attrice che, nel caso in cui fosse stato necessario procedere all’esecuzione di lavori, agli stessi avrebbe assistito un tecnico di propria fiducia;

che la causa si concludeva con la condanna della convenuta al pagamento dell’intera somma occorsa per la riparazione della condotta fognaria nonchè delle spese di lite, comprese quelle di c.t.u., come anticipate dall’attrice;

che avverso tale sentenza proponeva appello O.M.R.;

che ricostituitosi il contraddittorio, la Corte di appello di Bari, con sentenza n. 1321 del 2009, depositata in data 30 dicembre 2009, in accoglimento dell’appello principale e di quello incidentale condizionato: a) condannava la ricorrente al pagamento in favore di L.M. della somma di Euro 865,32, oltre interessi al tasso legale anno per anno vigente dal 21 luglio 1994 al saldo, per la spesa occorsa per la riparazione della condotta fognaria condominiale e per la bonifica del vano cantinato; b) poneva le spese di c.t.u., come liquidate con decreto 12 settembre 2002, a carico di entrambe le parti, in misura del 50% ciascuna, con condanna della O. al rimborso, in favore di L.M., della metà della somma già versata, quale anticipataria, in virtù del suddetto decreto, al consulente tecnico di ufficio; c) compensava per un terzo le spese del doppio grado di giudizio, condannando la ricorrente al pagamento in favore di L.M. dei restanti due terzi;

che per la cassazione di questa sentenza O.M.R. ha proposto ricorso, sulla base di cinque motivi, notificato a B. S., quale eredi di L.M., la quale ha resistito con controricorso e ha altresì proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Diritto

che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) Con il primo motivo del ricorso principale la ricorrente lamenta, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 4, la nullità della sentenza di appello per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sulla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, per aver la Corte di appello accolto la domanda attrice sulla base di una diversa causa petendi, in assenza di una impugnazione incidentale che giustificasse una pronuncia di tal genere. La parte appellata, infatti, nel contestare la fondatezza dell’impugnazione, aveva sostanzialmente condiviso il ragionamento del giudice di primo grado, il quale aveva posto a fondamento del diritto al rimborso della somma occorsa per i lavori il presupposto dell’urgenza degli stessi. Ciò nonostante, la Corte di appello è comunque pervenuta ad una pronuncia di condanna sulla base dell’esistenza di un accordo intervenuto tra le parti avente ad oggetto l’esecuzione dei lavori, ritenendo cosi che il diritto al rimborso sia sorto per effetto di un vincolo solidale tra le parti in forza di un’obbligazione di tipo contrattuale, e non, come riconosciuto dai giudici di primo grado, ex lege, per effetto dell’attinenza della spesa ad un bene comune e dell’urgenza dell’anticipazione da effettuare.

Con il secondo motivo del ricorso principale la O. lamenta, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1326, 1703, 1104 e 1134 cod. civ., per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto prestato il consenso al conferimento dell’incarico per l’esecuzione delle opere, nonchè, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, una grave contraddittorietà della motivazione su tale punto decisivo della controversia. La ricorrente sostiene di non aver mai prestato un valido consenso all’esecuzione delle opere e ciè è testimoniato dal fatto che essa, chiedendo di poter esaminare il preventivo dei costi per le riparazioni, si riservava il diritto di approvarlo previa valutazione delle opere necessarie e delle pretese economiche vantate dalla ditta di fiducia della Signora L..

Con il terzo motivo la ricorrente principale deduce, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1134 cod. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente il presupposto dell’urgenza che condiziona il diritto del condomino che abbia anticipato una spesa per la cosa comune ad ottenere il rimborso degli altri partecipanti; la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in materia di disponibilità e di valutazione delle prove e, ancora, una grave contraddittorietà della motivazione su tale punto decisivo della controversia. La ricorrente, a tal proposito, ritiene che la controparte abbia disatteso gli impegni assunti in occasione del sopralluogo del 21 dicembre 1993, dando luogo all’esecuzione delle riparazioni senza attendere la partecipazione del suo tecnico al saggio ispettivo, nè la valutazione di congruità del preventivo. Tali accordi, a detta della ricorrente, sarebbero inoltre testimonianza di come i lavori non fossero indifferibili, atteso che non risultava alcuna dimostrazione di urgenza sopravvenuta.

Con il quarto motivo di ricorso la O. lamenta, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4, la violazione degli art. 115 e 116 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto provato il credito vantato dall’appellata nonchè, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, la insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione su tale punto decisivo della controversia. Viene ritenuta erronea e parziale la valutazione degli elementi di prova da parte della corte territoriale, con particolare riferimento alla ritenuta attendibilità del teste S., non considerando, invece, la labilità di memoria di quest’ultimo e la conseguente inattendibilità, Con l’ultimo motivo la ricorrente principale denuncia, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, la violazione dell’art. 1123 cod. civ., per aver disposto la condanna al pagamento di una quota pari al 50% della spesa per le riparazioni della cosa comune sostenuta dall’appellata anzichè di una quota pari ai valori millesimali della sua porzione immobiliare.

Con il ricorso incidentale L.M. lamenta la violazione dell’art. 1123 cod. civ., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 e la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè l’insufficiente motivazione in merito a un punto decisivo della controversia. La ricorrente incidentale sostiene, in particolare, che il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente accolto l’appello proposto dall’odierna ricorrente, affermando che ella non avrebbe formulato espressa domanda di condanna della O. a rimborsarle l’intero importo della riparazione.

In merito alla violazione dell’art. 1123 cod. civ., la L. rileva che la corretta interpretazione dello stesso, secondo cui le spese relative alle cose destinate a servire i condomini in misura diversa vanno ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne, avrebbe dovuto portare ad accollare per intero le spese relative ai lavori eseguiti alla sola ricorrente, essendo la tubazione di cui si discute asservita unicamente al suo appartamento.

(…) Vanno preliminarmente affrontate e rigettate le prime due eccezioni sollevate dalla controricorrente.

Per quel che attiene all’improcedibilità del ricorso per mancato rispetto del termine semestrale indicato dall’art. 327 cod. proc. civ., si può osservare come tale norma, introdotta ad opera della L. n. 69 del 2009, non operi per il presente ricorso. Come espressamente stabilito dall’art. 58 della legge appena citata, le disposizioni che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile in essa contenute, si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore; ciò basta ad escludere l’applicabilità dell’art. 327 cod. proc. civ., come novellato dalla Legge del 2009, al ricorso in questione, risalendo l’inizio del giudizio di primo grado al 1994.

Da rigettarsi è anche la censura avente ad oggetto la violazione del principio di autosufficienza. La formulazione del ricorso permette, infatti, una compiuta ricostruzione dei fatti di causa e l’adeguata motivazione delle varie censure, anche attraverso la riproduzione della sentenza gravata nei punti che si assumono in contrasto con le disposizioni normative indicate. Si deve quindi escludere che la ricorrente si sia limitata a prospettare un mero approdo ermeneutico differente rispetto a quello accolto dal giudice del grado precedente.

Il primo motivo del ricorso principale, avente ad oggetto la presunta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato), è infondato.

Pare opportuno ricordare che, sulla scorta di orientamenti ormai consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte, tale principio implica il divieto di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, e deve ritenersi violato ogni qualvolta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi identificativi dell’azione, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda (Cass. n. 27727 del 2005). Viene ulteriormente specificato, per quel che qui interessa, che in tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutimi (piantina appellatimi, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonchè in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi e all’applicazione di una norma giuridica, diverse da quelle invocate dall’istante.

Inoltre, non incorre nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (Cass. n. 20652 del 2009).

Pare allora evidente l’infondatezza della censura sul punto. Nel caso di specie, infatti, la Corte d’appello ha fondato la propria decisione sulla sussistenza dell’urgenza dei lavori da effettuare, requisito già rilevato in primo grado, mentre si è soltanto limitata ad evidenziare, come dato di fatto, la sussistenza del preventivo accordo.

Il secondo e il terzo motivo di ricorso, suscettibili di essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

La ricorrente, deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme indicate (artt. 1326, 1703, 1104, 1134 cod. civ. e artt. 115, 116 cod. proc. civ.) nonchè la grave contraddittorietà della motivazione su tali punti decisivi, chiede, sostanzialmente, una diversa valutazione dei fatti, il che non è consentito in sede di legittimità. Come più volte ribadito dalla Suprema Corte, con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente;

l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento (Cass., sez. 6, n. 7921 del 2011). Inoltre, è opportuno aggiungere che il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata.

Questi vizi non possono però consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. n. 11936 del 2003). E’ allora evidente che non possono accogliersi le contestazioni della ricorrente circa la sussistenza dell’accordo delle parti sui lavori da eseguire ovvero del requisito dell’urgenza, in quanto elementi già accertati dalla Corte territoriale.

I giudici di merito, come è dato leggere in sentenza, non solo hanno accertato l’urgenza dei lavori, ritenendoli indifferibili secondo il criterio del bonus pater familias, ma hanno anche ritenuto che sul punto si fosse raggiunto un accordo, non avendo l’odierna ricorrente contestato in alcun modo il preventivo di spesa inviatole a seguito del sopralluogo effettuato in presenza dell’Ing. N., chiamato dalla stessa. Nè può dirsi contraddittoria la motivazione su tali punti avendo la Corte d’appello adeguatamente motivato in fatto e in diritto il proprio convincimento, attraverso un chiaro esame dei fatti considerati.

Analogo ragionamento può svolgersi in relazione al quarto motivo di ricorso, con il quale si lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè l’insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione, in quanto la Corte d’appello avrebbe ritenuto provato il credito vantato dalla resistente. La ricorrente contesta in particolare l’attendibilità del teste S., lamentando una erronea e parziale valutazione degli elementi di prova da parte dei giudici di secondo grado.

Il motivo di ricorso deve essere rigettato. Per giurisprudenza costante della Suprema Corte, infatti, la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del 2009).

Nel caso di specie, poi, risulta del tutto coerente il percorso argomentativo seguito dalla Corte d’appello nel giustificare l’attendibilità e la genuinità del teste.

Infine, il quinto motivo di ricorso, con cui si lamenta la violazione dell’art. 1123 cod. civ., in merito alle ripartizioni delle spese, per avere il giudice di merito condannato la ricorrente al pagamento di una quota pari al 50% della spesa per la riparazione della cosa comune anzichè di una quota pari ai valori millesimali della sua porzione immobiliare è inammissibile, stante la sua genericità. La ricorrente, infatti, si è limitata ad un generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, non adempiendo quindi al preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione (Cass. n. 11984 del 2011);

cosa, questa, che in relazione a tale motivo di ricorso è del tutto mancante. La quota pari ai valori millesimali della porzione immobiliare, sulla cui base la Corte di appello avrebbe dovuto determinare l’importo della somma dovuta, viene infatti solo genericamente invocata dalla ricorrente, senza allegare di avere documentato nei gradi di merito quale fosse l’esatta ripartizione millesimale del fabbricato in questione, e quindi senza fornire elementi idonei a sorreggere una pronuncia sul punto.

Anche il ricorso incidentale è infondato.

Dalla sentenza d’appello non risulta, infatti, che in primo grado la L. abbia agito per l’intero rimborso delle spese sostenute ma soltanto per la condanna della convenuta al pagamento della somma di L. 1.400.000, oltre IVA, importo questo pari a circa la metà della somma sborsata (L. 2.850.000 oltre IVA). Non può neanche dirsi violato l’art. 1123 cod. civ., comma 2, sulla ripartizione delle spese. I giudici d’appello hanno infatti ritenuto, argomentando compiutamente in fatto e in diritto, che, nel caso di specie, la disciplina da applicare non fosse quella dettata per le cose destinate a servire i condomini in misura diversa, ex art. 1123 cod. civ., comma 3, bensì quella dell’art. 1123 cod. civ., comma 1, secondo cui le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione (mancante nel caso di specie). In particolare, i condotti fognari sono considerati dalla legge parti comuni dell’edificio e, come già affermato dalla Suprema Corte, sono oggetto di proprietà comune fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini, con esclusione dei soli raccordi di collegamento e delle tubazioni orizzontali che, diramandosi da detta condotta condominiale di scarico, servono i singoli appartamenti di proprietà esclusiva (Cass. n. 583 del 2001). Ciò detto, e non risultando alcun titolo contrario, trattandosi nel caso di specie della riparazione di un condotto che, partendo dal pavimento del secondo piano dell’edificio attraversa con andamento verticale gli altri due piani, vale la presunzione ex art. 1117 c.c., comma 3 (secondo cui le fognature ed i canali di scarico sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio) e per la ripartizione delle spese, di conseguenza, opera il regime di cui all’art. 1123 cod. civ..

Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte e qualora il collegio condivida i rilievi in precedenza formulati, si ritengono sussistenti le condizioni per la trattazione dei ricorsi in camera di consiglio”;

che il Collegio condivide la richiamata proposta di decisione, non apparendo le critiche svolte dalla ricorrente principale nella memoria depositata in prossimità della discussione del ricorso idonee ad indurre a diverse conclusioni;

che in particolare, deve ritenersi insussistente la denunciata contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, ribadita con diffuse argomentazioni nella memoria difensiva sulla base del rilievo della incompatibilità del concorrente riferimento alla sussistenza del consenso della medesima ricorrente alla esecuzione dei lavori, e della urgenza degli stessi, atteso che, nella decisione impugnata, appaiono particolarmente illustrate le ragioni in base alle quali la Corte d’appello ha desunto l’esistenza del consenso della ricorrente alla esecuzione dei lavori; consenso che, secondo quanto riportato a pag. 12, costituiva la effettiva causa petendi della domanda proposta dalla L.;

che pertanto, pur se quest’ultima aveva anche dedotto l’esistenza della urgenza nella esecuzione dei lavori, la ratio della sentenza impugnata va ravvisata, coerentemente alle deduzioni svolte nell’atto introduttivo, nel consenso alla esecuzione dei lavori che la Corte d’appello, con accertamento in fatto adeguatamente e logicamente motivato, ha ritenuto fosse nella specie stato manifestato dalla odierna ricorrente;

che conclusivamente, tanto il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati;

che, in ragione della reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012.

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