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Federproprietà AbruzzoCanoneCassazione Civile, Sezione III, Sentenza 6 novembre 2001 n. 13686

Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza 6 novembre 2001 n. 13686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Manfredo GROSSI – Presidente - Dott. Paolo VITTORIA – Consigliere - Dott. Roberto PREDEN – Consigliere […]

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Manfredo GROSSI – Presidente -
Dott. Paolo VITTORIA – Consigliere -
Dott. Roberto PREDEN – Consigliere -
Dott. Michele LO PIANO – Consigliere -
Dott. Francesco TRIFONE – Rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

DCL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA LUTEZIA 5,presso lo studio dell’avvocato ROMEO PAOLO, che lo difende, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

VA ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 107,presso lo studio dell’avvocato SCATOZZA UMBERTO, che lo difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1008-97 del Tribunale di PESCARA, emessa il 19-11-1997, depositata il 19-12-97; RG.1158-1997,
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05-06-01 dal Consigliere Dott. Francesco TRIFONE;
udito l’Avvocato RODOLFO ROMEO (per delega dell’Avv. Paolo Romeo);
udito l’Avvocato UMBERTO SCATOZZA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Vincenzo MACCARONE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso del 24.6.1992 VA, conduttore in Pescara alla via D’Annunzio di un appartamento ad uso di abitazione concessogli in locazione da Lina DCL, conveniva in giudizio innanzi al Pretore di quella città la locatrice per ottenerne la condanna alla restituzione delle somme pagate in eccedenza rispetto al canone legale, del deposito cauzionale, e dei relativi interessi.

La convenuta, in via riconvenzionale, reclamava la condanna del conduttore al pagamento della somma di lire 543.850 quale differenza tra l’importo dei danni arrecati all’immobile ed il deposito cauzionale versatole nella misura di lire 500.000.

Il pretore adito, in base anche alla disposta consulenza tecnica di ufficio, determinava il canone equo dovuto per ciascun anno nel periodo dal febbraio 1985 al gennaio 1992; condannava la convenuta locatrice alla restituzione dell’indebito nella misura complessiva di lire 1.641.050, oltre interessi dalla istanza di conciliazione, nonché al pagamento dell’importo di lire 925.000 a titolo di restituzione della cauzione e degli interessi; condannava la stessa DCL alle spese del giudizio.

Sull’appello principale di Lina DCL e su quello incidentale di VA il Tribunale di Pescara, con sentenza depositata il 19.12.1997, riduceva la misura delle spese di primo grado a carico dell’appellante principale; determinava in lire 7.641.050, con gli interessi legali dalla data della istanza di conciliazione, la somma dovuta a titolo di differenza del maggior canone all’appellante incidentale, così corretto l’errore materiale di calcolo, in cui era incorso il pretore; compensava interamente tra le parti le spese del grado, con conferma nel resto della sentenza appellata.

I giudici di appello, circa la ubicazione dell’immobile ex art. 18 della legge n. 392 del 1978, consideravano che neppure nella fase del gravame la locatrice aveva fornito la prova della deliberazione comunale della quale chiedeva l’applicazione; quanto alla maggiorazione del canone ex art. 23 stessa legge in virtù della spesa per opere di manutenzione straordinaria, ritenevano che la stessa locatrice non aveva dimostrato di averle sostenute nel corso di un pregresso rapporto locatizio; rilevavano, in ordine alla domanda dei danni che il conduttore avrebbe arrecato all’immobile, che la istanza non era dimostrata, non potendo a riguardo venire in evidenza la prodotta documentazione fiscale.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso DCL, che affida la impugnazione a tre mezzi di doglianza, ai quali resiste con controricorso, illustrato anche da memoria, VA.

Diritto

Con il primo mezzo di doglianza – deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 23 della legge n. 392 del 1978 nonché il vizio di motivazione sul punto – la ricorrente assume che il giudice di merito avrebbe dovuto considerare che il calcolo del canone aveva costituito l’oggetto di specifica contrattazione tra le parti; che il conduttore non aveva mai contestato il relativo prospetto; che l’accettazione scritta del suddetto prospetto costituiva prova specifica anche della accettazione dei criteri di determinazione del corrispettivo, utilizzati dalla locatrice e, perciò, conosciuti dallo stesso conduttore e da intendere come correttamente applicati; che del suddetto accordo delle parti, formalizzato nel prospetto di calcolo del canone, sia il pretore che il tribunale non avevano affatto tenuto conto, omettendo di motivare sulla sua rilevanza quale punto decisivo della controversia.

La censura – che nel suo complesso la ricorrente basa sulla considerazione che la determinazione pattizia del canone della locazione abitativa non può essere contestata dal conduttore, il quale abbia accettato, in sede di stipulazione del relativo contratto, i coefficienti posti a base del calcolo – non è fondata.

L’art. 79, comma 2, della legge n. 392 del 1978 – che prevede la facoltà per il conduttore, con azione proponibile non oltre il semestre dalla riconsegna dell’immobile locato, di ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposta in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla legge quale conseguenza della sanzione di nullità, di cui al primo comma della stessa norma, di ogni pattuizione diretta ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale previsto dagli artt. 12-22 della stessa legge – costituisce norma inderogabile, attinente al canone legale oltre che alla durata del contratto, con la conseguenza che le disposizioni relative alla determinazione del cosiddetto equo canone sono inserite di diritto nei contratti di locazione ad uso di abitazione, in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti e senza che dalla nullità di dette clausole possa derivare la nullità dell’intero contratto.

Non era, pertanto, necessario, contrariamente a quanto deduce la ricorrente, che la contestazione da parte del conduttore, circa la eccessività del canone corrisposto rispetto a quello legale dovuto, fosse formulata nel corso del rapporto ovvero espressa nel corso del giudizio, dato che la domanda di conciliazione ex art. 44 della legge n. 392 del 1978, con cui lo stesso conduttore chieda l’accertamento dell’equo canone, implica di per sè la contestazione sul canone pattiziamente individuato e corrisposto.

Con il secondo motivo di impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’art. 18 della legge n. 392 del 1978 nonché del le norme di cui agli artt. 2697 cod. civ. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. – la ricorrente assume che il giudice di merito sarebbe incorso in un palese errore di valutazione delle prove, in quanto non avrebbe valutato il contenuto della delibera comunale n. 674 del 30.10.1978, relativamente alla determinazione della ubicazione dell’appartamento locato, nella considerazione che detta deliberazione non era stata prodotta in giudizio. Aggiunge la ricorrente che della produzione in giudizio della deliberazione non vi era necessità, dovendo il contenuto del provvedimento essere considerato alla stregua di un atto notorio, valutabile ex art. 115 c.p.c., ed essendo stata la suddetta deliberazione utilizzata dal consulente tecnico per determinare il coefficiente ex art. 18 legge n. 392 del 1978.

Anche detta censura non ha pregio.

L’acquisizione o meno agli atti processuali della deliberazione comunale non ha inciso minimamente sulla valutazione dei fatti dal momento che – siccome è chiaro nella motivazione del giudice di merito, secondo quanto la stessa ricorrente ammette in ricorso – il consulente tecnico di ufficio, nella determinazione del canone legale dell’immobile locato, ha tenuto conto esattamente della predetta deliberazione comunale n. 674 del 30.10.1978 e le conclusioni della relazione peritale, quanto al coefficiente della ubicazione, sono state recepite dal giudice di merito, che, avendole riscontrate valide e convincenti, non aveva l’obbligo di esporre sul punto una motivazione più diffusa nè di procedere “ex officio” alla acquisizione del provvedimento amministrativo.

Rientra, infatti, nel potere del consulente tecnico di ufficio attingere “aliunde” notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni che formino oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli. Dette indagini, inoltre, quando ne siano indicate le fonti in modo che le parti possano effettuarne il dovuto controllo, possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice.

Nella specie, rientrava nel potere del consulente tecnico accertare, in base alla relativa deliberazione comunale, quale fosse il coefficiente ex art. 18 legge 392 del 1978 applicabile all’appartamento locato, per cui la ricorrente, se avesse avuto intenzione di evidenziare errori del C.T.U., aveva l’onere di produrre in giudizio il documento, del quale lamentava la interpretazione non corretta, e di precisare, altresì, quale avrebbe dovuto esserne la esatta lettura.

Con il terzo motivo di impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’art. 23 della legge n. 392 del 1978 nonché il vizio di motivazione sul punto – la ricorrente censura l’affermazione del giudice di merito secondo cui essa locatrice avrebbe dovuto fornire la prova, al fine di rendere opponibile la relativa integrazione del canone nei confronti del conduttore resistente, che le opere di straordinaria manutenzione di rilevante entità erano state effettuate in costanza di pregresso rapporto locativo.

Anche l’ultimo motivo del ricorso non può essere accolto.

In tema di locazione di immobili ad uso di abitazione l’obbligo di integrazione del canone, previsto a carico del conduttore dalla norma di cui all’art. 23 della legge n. 392 del 1978, opera non solo con riferimento alle riparazioni straordinarie eseguite nel corso dell’attuale rapporto locatizio, ma anche con riguardo a quelle eseguite durante precedenti locazioni, restando, invece, la integrazione esclusa qualora le opere suddette siano state effettuate al di fuori di qualsiasi rapporto locativo.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità esprime ormai un indirizzo univoco (Cass., sez. un., 9 agosto 1996, n. 7329; Cass., n. 1551-98; Cass., n. 8591-96), basato, oltre che sul tenore lessicale della norma in oggetto, sull’argomento logico e sui criteri di interpretazione storico-sistematici, che inducono a collocare la prevista maggiorazione del corrispettivo tra gli elementi costitutivi del canone, la cui permanenza deve ritenersi legittima anche oltre la scadenza contrattale della locazione, nel corso della quale le opere medesime sono intervenute, ed indipendentemente dalla persona fisica del conduttore.

È logico, pertanto, ritenere che è a carico del locatore – il quale intenda fare valere come acquisita la maggiorazione ex art. 23 legge n. 392 del 1978 nei confronti dell’attuale conduttore per riparazioni straordinarie eseguite nel corso di precedente rapporto locatizio – la dimostrazione, oltre che della esecuzione delle opere, del fatto che le medesime siano state compiute mentre era in corso la locazione dell’immobile, cui inerivano.

Nella specie, la prova suddetta il giudice di merito ha ritenuto che non è stata data e l’affermazione a riguardo regge alla critica che ad essa la ricorrente muove – sotto il profilo del vizio di motivazione – assumendo che il conduttore aveva contrastato la spettanza della integrazione ex art. 23 legge n. 392 del 1978 per il fatto soltanto che le opere non erano state effettuate nel corso del rapporto locatizio che lo riguardava, implicitamente riconoscendo che esse erano intervenute durante altra locazione.

Invero, nel contesto di una generale valutazione degli elementi di prova, ritenere che la mancata contestazione di determinati fatti costituisca implicita ammissione dei fatti medesimi è questione riservata al giudice di merito, che non è censurabile in cassazione sotto il profilo dedotto dalla ricorrente.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa per intero tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Roma, 5 giugno 2001

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