Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza del 3 febbraio 2011, n. 2553
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente Dott. AMATUCCI Alfonso […]
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente
Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere
Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere
Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29400-2006 proposto da:
JE. DI. NA. RA. SAS, (OMESSO), in Persona del socio accomandatario Signora Na.Ra. , elettivamente domiciliata in ROMA, VIA D. CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato VERONI FABIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CORDINI ROBERTO, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
RI. LI. , (OMESSO), MA. GI. , elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI ANDREA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARINO CLAUDIO giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 1060/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO, Sezione Terza Civile, emessa il 03/05/2006, depositata il 11/05/2006; R.G.N. 2316/2004.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
udito l’Avvocato CARLO ALBINI per delega Avv. ANDREA MANZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo, assorbiti gli altri.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I fatti di causa possono cosi’ ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.
Ji. s.a.s. di Na. Ra. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano Ma.Gi. e Ri. Li. chiedendone la condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite in piu’ del dovuto, a titolo di canone di locazione di un immobile destinato a uso diverso da quello abitativo, oltre svalutazione e interessi.
I convenuti, costituitisi in giudizio, contestarono l’avversa pretesa.
Con sentenza del 3 aprile/3 giugno 2003 il giudice adito rigetto’ la domanda.
Proposto dalla soccombente gravame, la Corte d’appello lo ha respinto in data 3/11 maggio 2006.
Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione Ji. s.a.s. di Na. Ra. , articolando sei motivi con pedissequi quesiti.
Resistono con controricorso, illustrato anche da memoria, Ma. Gi. e Ri.Li. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Col primo motivo l’impugnante denuncia violazione e falsa applicazione della Legge n. 392 del 1978, articolo 32 e articolo 79, comma 1. Oggetto delle critiche e’ la ritenuta legittimita’ del canone cd. a scaletta pattuito dalle parti. Secondo Ji. s.a.s. la valutazione del giudice di merito violerebbe il disposto della Legge n. 392 del 1978, articolo 32 e farebbe malgoverno della giurisprudenza di legittimita’.
1.2 Col secondo mezzo si deduce, ancora, violazione della Legge n. 392 del 1978, articolo 32, questa volta per contestare l’affermazione della Corte d’appello secondo cui l’aumento finale del 50% si era rivelato ex post non troppo al di sopra del tasso di svalutazione e anche dell’interesse legale corrente. Sostiene l’esponente che tale assumo sarebbe contrario al vero, perche’, in realta’, i praticati aggiornamenti del canone erano pari a quasi cinque volte l’indice ISTAT.
1.3 Col terzo mezzo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della Legge n. 392 del 1978, articolo 79, con riferimento all’affermazione del giudice d’appello secondo cui il comportamento dei contraenti e, in particolare, della conduttrice, che aveva integralmente eseguito le obbligazioni derivanti dal contratto, senza obiezioni o riserve, confermava che la preordinata gradualita’ degli aumenti non era finalizzata a conseguire surrettiziamente l’elusione dei limiti quantitativi agli aggiornamenti del canone stabiliti dalla Legge n. 392 del 1978, articolo 32. Non aveva il decidente considerato che, in base al disposto dell’articolo 79 di tale fonte, il diritto a non erogare somme eccedenti il canone legalmente dovuto sorge al momento della conclusione del contratto, persiste durante tutto il corso del rapporto e puo’ essere fatto valere dopo la riconsegna dell’immobile entro il termine di decadenza di sei mesi. Il che comportava che del diritto stesso il conduttore non era abilitato a disporre nel corso del rapporto.
1.4 Col quarto motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio. La censura investe l’assunto secondo cui la predeterminazione di una particolare dinamica del canone puo’ non risultare finalizzata a eludere il disposto dell’articolo 32, in contrasto con la giurisprudenza di legittimita’, secondo cui la clausola che prevede un canone differenziato e crescente nel tempo e’ contra legem e, come tale, radicalmente nulla.
1.5 Col quinto mezzo l’impugnante deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, per avere il giudice di merito affermato che sussisterebbe un collegamento tra gli aumenti del canone pattuiti e la cessione dell’attivita’ aziendale, senza fornire di tale suo convincimento alcuna spiegazione.
1.6 Col sesto mezzo la ricorrente censura la sentenza impugnata per vizi motivazionali con riferimento all’assunto secondo cui l’aumento a scaletta del canone sarebbe stato vantaggioso per la societa’ conduttrice e avrebbe realizzato progressivamente un aumento finale del 50%, non troppo lontano dal 75% del tasso di svalutazione, laddove tali circostanze erano contrarie al vero.
2 Le censure, che, in quanto connesse, si prestano a essere esaminate congiuntamente, sono infondate per le seguenti ragioni.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che nelle locazioni non abitative la necessita’ per i paciscenti di sottostare a precisi limiti per quanto attiene all’aggiornamento del canone, il cui ammontare esse sono comunque libere di determinare, non elimina la possibilita’ di una quantificazione in misura differenziata e crescente nel tempo, sempre che la stessa risulti in definitiva ancorata a elementi predefiniti e che non emerga una sottostante volonta’ volta a eludere i limiti posti dalla Legge n. 392 del 1978, articolo 32 (confr. Cass. civ., 5 marzo 2009, n. 5349; Cass. Civ., 23 febbraio 2007 n. 4210; Cass. Civ., 24 agosto 2007 n. 17964; Cass. Civ. 8 maggio 2006 n. 10500; Cass. civ. 6 ottobre 2005, n. 19475; Cass. civ. 1 febbraio 2000, n. 1070; Cass. civ. 24 giugno 1997, n. 5832).
L’affermazione si giova dei concorrenti rilievi che, riferimento a tale tipologia di locazioni, e’ necessario garantire che l’ammontare del canone venga fissato in sede di conclusione del contratto, non gia’ per effetto di nuovi accordi stipulati nel corso del rapporto, allorche’ la posizione del conduttore e’ indubbiamente piu’ debole rispetto a quella del locatore, a causa degli oneri e delle diseconomie normalmente derivanti dallo spostamento della sede dell’attivita’; che non vi sono indicazioni normative o principi di logica interpretativa che inducano a ritenere che una tale liberta’ di contrattazione sia limitata alla fissazione del canone relativo al primo anno di durata del rapporto, impedendo di pattuirne la variazione, ed in particolare l’aumento, per gli anni successivi (salvo l’adeguamento Istat); che la limitazione risulterebbe del resto priva di giustificazione, ove si consideri che il locatore potrebbe chiedere fin dall’inizio il canone massimo (nella specie, quello fissato per il sesto anno di durata del rapporto) e che non v’e’ ragione di ritenere che allo stesso sia precluso di chiedere, per gli anni successivi al primo, la stessa somma che potrebbe domandare immediatamente.
3 Venendo al caso di specie, il giudicante ha motivato il suo convincimento partendo dal rilievo che le parti, nel primo sessennio del rapporto, avevano pattuito un canone contrattuale crescente cd. a scaletta che dalla misura iniziale di lire 14.400.000, doveva arrivare al sesto anno a lire 21.600.000; a partire da tale momento, l’importo cosi determinato, significativamente denominato canone base, sarebbe poi stato aggiornato in ragione del 75% di variazione dell’indice ISTAT.
Secondo la Corte territoriale, tenuto conto del collegamento esistente tra il contratto di locazione e la cessione dell’azienda attuata dal Ma. in favore della societa’ conduttrice, poteva condividersi la prospettazione dei locatori, fatta propria dal giudice di prime cure, secondo cui la pattuita dinamica del canone veniva incontro all’esigenza della conduttrice (che aveva pagato la maggior parte del prezzo della cessione a mezzo cambiali), di una rigorosa predeterminazione delle obbligazioni da assolvere, in un momento in cui la spinta inflazionistica era particolarmente forte. Di modo che, anche senza accedere all’allegazione secondo cui il vero e proprio canone era di lire 21.600.000, implicitamente ridotto a ritroso, doveva escludersi che il concordato meccanismo negoziale fosse elusivo della disciplina racchiusa nella Legge n. 392 del 1978, articoli 32 e 79, e cio’ tanto piu’ che il complessivo aumento finale del 50% si era rivelato ex post non troppo al di sopra del tasso di svalutazione e anche dell’interesse legale corrente.
4 Cio’ significa che il giudice di merito ha valutato la legittimita’ della clausola con la quale le parti hanno determinato il prezzo della locazione in misura differenziata, crescente per frazioni successive nell’arco di durata del rapporto, specificamente ai fini della verifica di eventuali elusioni dei limiti quantitativi posti dalla Legge n. 392 del 1978, articolo 32, e della conseguente operativita’ della sanzione di nullita’ di cui al successivo articolo 79 della medesima fonte, correttamente contestualizzando, in tale ottica, le previsioni contrattuali nell’ambito delle piu’ complesse relazioni esistenti tra le parti; dell’incidenza, all’epoca, della svalutazione monetaria; dell’esecuzione data per anni agli impegni assunti e non implausibilmente motivando l’esito del suo apprezzamento in ragione, anche, degli impegni economici derivanti dalla contestuale cessione di azienda pattuita tra le parti.
Dell’esito positivo del suo sindacato sulla legittimita’ del deciso assetto economico del rapporto, la Corte d’appello ha in definitiva fornito ampia e appagante motivazione e tanto a prescindere dalla condivisibilita’ e dalla pertinenza di singoli rilievi come il riferimento all’esecuzione data per anni dalle parti agli impegni assunti, o alla incidenza della svalutazione, nella misura fissata dalla legge, sul costo della locazione, rilievi che possono ritenersi assorbiti dalle altre argomentazioni poste dal decidente a base della scelta decisoria adottata.
In realta’ le critiche della ricorrente, attraverso la surrettizia evocazione di vizi di violazione di legge e di difetti motivazionali, in realta’ inesistenti, mirano a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove preclusa in sede di legittimita’.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
La ricorrente rifondera’ alla controparte le spese del giudizio nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 3.200 (di cui euro 200 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.