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Federproprietà Abruzzogiurisprudenza Locazione Responsabilità del ConduttoreCorte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza 27 settembre 2012, n. 18498

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza 27 settembre 2012, n. 18498

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Presidente Trifone – Relatore Uccella [omissis] Svolgimento del processo Il 3 gennaio 2003 il Tribunale […]

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Presidente Trifone – Relatore Uccella

[omissis]

Svolgimento del processo

Il 3 gennaio 2003 il Tribunale di Milano rigettava la domanda proposta da D.S. nei confronti di Y.B. , volta ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati all’immobile da questa locato ad uso abitativo e stimati in lire 100 milioni, deducendo, inoltre, che in data 27 dicembre 2000 – 5 gennaio 2001 il detto immobile era stato venduto per un corrispettivo di 200 milioni rispetto all’effettivo valore di lire 300 milioni.
Su gravame del S. la Corte di appello di Milano rigettava la proposta impugnazione il 22 marzo 2006.
Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il S. , affidandosi a quattro motivi, corredati dei prescritti quesiti.
Nessuna attività difensiva risulta svolta dall’intimata B. .
Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo, che ha costituito il secondo motivo dell’atto di appello, (violazione degli artt. 1223 c.c. e 112 c.p.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. – omessa, insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 n.5 c.p.c. in ordine ad un punto decisivo della controversia) il ricorrente, in estrema sintesi, lamenta che il giudice dell’appello si sarebbe limitato a qualificare il danno richiesto come lucro cessante, mentre l’esatta qualificazione e, quindi, la relativa indagine andava fatta come danno emergente consistente in un danneggiamento, un eccezionale degrado dovuto ad uso improprio della cosa locata (p.3 ricorso), mentre solo come posterius sarebbe stato chiesto il lucro cessante in ordine all’asserito deprezzamento del bene in sede di vendita (lire 200 milioni e non già 300 milioni come da prezzo di mercato (p.5-6 ricorso).
Infatti, a suo avviso, il danno del locatore non può essere limitato ai danni materiali subiti, tanto più che agli atti vi erano l’inventario redatto dall’ufficiale giudiziario nonché la C.T. di parte.

2. – Con il secondo motivo, che ha costituito il primo motivo dell’atto di appello, (violazione dell’art. 24 Cost., 112, 113, 115, 116 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art.360 n.3 cpc) il ricorrente, in buona sostanza, si duole che il giudice dell’appello non avrebbe tenuto conto del valore probatorio del documento redatto da persona di sua fiducia. Questi motivi vanno esaminati congiuntamente, perché attengono al nucleo centrale del ricorso, con cui si contesta il convincimento del giudice dell’appello in merito alla fondatezza probatoria della domanda.
Al riguardo, osserva il Collegio, che le due censure vanno disattese.
È sufficiente leggere la sentenza impugnata per ritenere che in nessuno dei vizi denunciati è incorso il giudice dell’appello.
A parte il fatto che l’art. 24 Cost. è solo enunciato nel secondo motivo, il giudice dell’appello ha affermato, dopo averli attentamente scrutinati, che i documenti offerti dall’attore non costituivano elementi probatori dell’assunto difensivo per molteplici ragioni, consistenti nell’esaminare il valore del contenuto dell’inventario redatto dall’ufficiale giudiziario del 4 luglio 2000, che ritiene rilevante perché redatto in contraddittorie con la B. , ma non significativo ai fini della consistenza dei danni (P-20 sentenza impugnata).
Di contro, nessun valore, e correttamente, attribuisce all’inventario dei beni del 22 giugno 2000 perché compiuto dalla stessa parte interessata e da persona di sua fiducia, così come ritiene irrilevante la stima del geom. O. (p.20 sentenza impugnata) sia per la sua genericità sia “soprattutto” perché non vi è stata garanzia del contraddittorio e, quindi, essa si configura inidonea ad assumere valenza probatoria (p.21 sentenza impugnata). Ciò posto, va detto che non corrisponde al vero che il giudice dell’appello abbia soffermato la sua attenzione sul solo danno da lucro cessante, ma ha analiticamente esaminato la domanda alla luce dei documenti prodotti per dedurne il rigetto attesi la assoluta carenza di prova anche e soprattutto al danno emergente, quantificato in cento milioni.
E che la eccentricità delle censure sul punto sia evidente risulta anche dal terzo motivo, di cui in seguito.

3. – Infatti, con il terzo motivo (violazione degli artt. 2697, 1587, 1588 e 1218 c.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.) il ricorrente si sofferma sull’obbligo del conduttore, per affermare che codicisticamente sarebbe prevista la presunzione di colpa a suo carico, per cui il conduttore deve fornire la relativa prova liberatoria e richiama giurisprudenza di questa Corte al riguardo (p. 11 ricorso).
Questa censura, che sembra collegata al secondo motivo perché insiste sul verbale in sede di inventario dell’ufficiale giudiziario, non si spiega se non nel senso che il ricorrente lamenta in primis che il danno emergente sia stato erroneamente ritenuto non provato dal giudice dell’appello e non merita accoglimento.
Di vero, se è esatto in linea di principio quanto riportato dal ricorrente circa la presunzione a carico del conduttore, va affermato che nel caso in esame il giudice dell’appello ha ritenuto inesistente la prova del danno soprattutto perché non provato nell’an, in quanto si ignorava la condizione dei mobili al momento della stipula della locazione avvenuta nel 1991 sia perché la qualità di “rovinato” attribuita all’incasso in legno è meramente generica e nessuna allegazione di una sua specifica attribuzione all’attività del conduttore è stata addotta, come si evince dalla stessa illustrazione del motivo.

4. – Di qui, l’assorbimento del quarto motivo (omessa, illogica o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 n.5 in ordine ad un punto decisivo della controversia), con il quale il ricorrente chiede alla Corte di rispondere se “rovinato”, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice dell’appello, sia, di per sé, idoneo a provare la esistenza del danno (v. p. 13 – 14 ricorso).
In conclusione, da una parte i motivi di ricorso sembrano impingere in valutazioni di merito, malgrado alcuni di essi sia stati formulati come errori di diritto, dall’altro vanno disattesi.
Pertanto va affermato che la presunzione di colpa generica a carico del conduttore prevista dall’art. 1588 c.c. resta scalfita dalla circostanza, se accertata in sentenza, della inesistenza degli asseriti danni prodotti dalla sua condotta al bene locato.
Di vero, nel caso in esame i danni materiali, costituenti il danno emergente, così come richiesto, non sono stati rinvenuti né nei documenti allegati né in quelli ritualmente acquisibili ed acquisiti al processo né nei capitoli di prova, che sono stati ritenuti inammissibili o irrilevanti o perché concernenti circostanze che non potevano essere oggetto di prova testimoniale; né per quanto riguarda il danno da lucro cessante, richiesto come conseguenza ed effetto successivi al primo, è risultato, sia dall’atto di vendita sia da altri elementi offerti in prova, che l’immobile, attesa la sua condizione al momento del rilascio, fosse stato venduto ad un prezzo inferiore a quello di mercato (p-21 sentenza impugnata).
A fronte di simile argomentare logicamente motivato il ricorso, conclusivamente, va respinto, ma nulla va disposto per le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla dispone per le spese.

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