Cassazione Penale, Sezione V, Sntenza 31 maggio 2012 n. 33221
Insultare l'architetto che rappresenta un condomino in assemblea risulta in un reato?
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SANDRELLI Gian Giacomo – Presidente -
Dott. BRUNO Paolo Antoni – Consigliere -
Dott. VESSICHELLI Maria – rel. Consigliere -
Dott. SABEONE Gerardo – Consigliere -
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1)D.V. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1/2011 TRIB.SEZ.DIST. di BARLETTA, del 27/09/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/05/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SPINACI S., che ha concluso per il rigetto;
Udito, per la parte civile, l’avv. A. Florio.
Fatto
Propone ricorso per cassazione D.V. avverso la sentenza del Tribunale di Trani – sezione distaccata di Barletta – in data 27 settembre 2011 con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento del danno, in ordine al reato di ingiurie commesso nel settembre e nel dicembre 2002 in danno di S.M..
Il reato non è ancora prescritto a causa della interruzione ed anche della sospensione del relativo termine, per giorni 738, con la conseguenza che ne è prevista la scadenza l’8 giugno 2012.
Deduce:
1) la nullità del processo di primo grado e degli atti successivi avendo la difesa prodotto, per le udienze del 18 giugno 2009 e 25 febbraio 2010, certificazioni attestanti l’assoluto impedimento a comparire dell’imputato il quale nel primo caso, era stato ricoverato presso il reparto di cardiologia dell’ospedale di Andria e, nel secondo caso, presso il centro riabilitativo (OMISSIS) di Pescara.
Il giudice aveva ingiustamente rifiutato il rinvio sulla base dell’erronea motivazione secondo cui si trattava di malattia cronica, da sottoporre a un programma riabilitativo pianificabile nel tempo;
2) il vizio di motivazione sul mancato proscioglimento.
L’affermazione di responsabilità in ordine al primo episodio era stata basata sulle dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, la quale, secondo l’assunto del ricorrente, non deve neppure prestare giuramento.
L’espressione proferita dell’imputato in quell’occasione, peraltro, atteneva alla circostanza che la persona offesa lavorasse senza emettere fattura e quindi a un’evenienza che, riportata nel contesto della discussione, trovava ampia giustificazione.
Il secondo episodio offensivo contestato non aveva invece trovato riscontro probatorio con riferimento all’espressione “mafioso”. Era rimasto comprovato soltanto il ricorso all’espressione “che cazzo” la quale è entrata nell’uso comune e non ha rilevanza penale, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, quando è proferita in posizione di parità rispetto all’interlocutore;
3) la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 599 c.p..
Nel comportamento dell’imputato si sarebbe dovuto riconoscere lo stato d’ira di chi reagisce al fatto ingiusto altrui avendo l’imputato, anche nella forma putativa, ritenuto di reagire a intromissioni ingiustificate della persona offesa in lavori di pertinenza del condominio nel quale quella non abitava.
Il difensore di parte civile ha denunciato la inammissibilità dell’appello sotto il profilo della mancata espressa aggressione al capo della sentenza di primo grado contenente le tradizioni civili.
Il ricorso è inammissibile.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 420 ter c.p.p., per non avere il giudice di primo grado riconosciuto l’assoluto impedimento dell’imputato a comparire in due udienze del 2009 del 2010.
Si riporta, nell’atto di impugnazione, la condivisibile giurisprudenza di legittimità in tema di malattia cronica e della sua attitudine a integrare il detto impedimento assoluto, evitando però – ed in violazione dei principio di autosufficienza del ricorso nonchè di quello della necessaria specificità dei motivi – di indicare e di allegare la reale natura ed i termini della concreta rilevazione della patologia riconosciuta come cronica dello stesso giudice procedente.
Una simile omissione impedisce a questo giudice di legittimità di apprezzare la rilevanza della questione e l’eventuale fondamento della denunciata violazione di legge, dovendo trovare applicazione, in materia, anche l’orientamento secondo cui l’assoluto impedimento a comparire dell’imputato, indicato dall’art. 420 quater c.p.p., comma 1, configurabile anche in relazione ad una malattia a carattere cronico, sussiste purchè determini un impedimento effettivo, legittimo e di carattere assoluto, riferibile ad una situazione non dominabile dall’imputato e a lui non ascrivibile (Rv. 220247).
Ed infatti, la stessa giurisprudenza osserva pure che la presenza di una situazione patologica cronica e legata all’età dell’imputato, ove non sia tale da impedirne la presenza in udienza o la sua partecipazione cosciente al procedimento, non costituisce legittima causa nè della sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato, nè di rinvio del dibattimento per legittimo impedimento a comparire di quest’ultimo (Rv. 251901).
Uguale rilievo rende inammissibile la censura riguardante il mancato rinvio per l’impedimento dedotto con riferimento al ricovero in centro abilitativo.
Il secondo motivo è ugualmente inammissibile, anche per genericità.
In primo luogo è manifestamente infondata l’osservazione sulla inidoneità delle dichiarazioni della persona offesa a costituire prova di responsabilità. La persona offesa anche costituita parte civile, partecipa al processo, di regola, in qualità di testimone e, in tale veste, è tenuta a prestare giuramento sicche le sue dichiarazioni sono idonee ad essere valutate come elemento di prova anche a prescindere dalla ricerca e dalla sussistenza di elementi di riscontro.
Quanto, poi, al principio evocato in ricorso, secondo cui l’espressione offensiva deve essere valutata non prima di essere calata nel contesto nel quale essa è stata pronunciata, se ne ribadisce la condivisibilità ma se ne rileva anche la menzione del tutto generica nel ricorso che ci occupa.
Il ricorrente, violando il disposto dell’art. 581 c.p.p., non indica le ragioni in punto di fatto, sulle quali poggia la censura, con la conseguenza che la denuncia circa la mancata contestualizzazione dell’espressione offensiva in esame, risulta del tutto non apprezzabile.
Se mai il principio di diritto risulta evocato in maniera del tutto eccentrica rispetto la ricostruzione dell’accaduto come effettuata nella sentenza di primo grado e fatta propria anche dal giudice d’appello.
Risulta infatti da tali sentenze di merito che l’espressione ingiuriosa con la quale l’imputato ha attribuito alla persona offesa di lavorare evadendo gli obblighi fiscali, è stata pronunciata nel corso di una seduta condominiale nella quale il comportamento della persona offesa risulta essere stato soltanto quello di avere insistito per effettuare i lavori condominiali invece non graditi all’imputato.
In ordine al secondo episodio, fermo che la sentenza di primo grado al pari di quella di appello non risulta addebitata l’espressione “mafioso”, deve osservarsi che il principio di diritto evocato dal ricorrente non appare decisivo fini di risolvere il processo in senso favorevole al medesimo. L’espressione di volgarità ingiuriosa è riconosciuta dalla giurisprudenza come idonea ad integrare gli estremi del reato qui in esame.
E d’altra parte, costituisce un ragionamento logico e plausibile quello del giudice del merito il quale ha posto in evidenza come l’espressione “architetto del cazzo” fosse stata pronunciata all’indirizzo della persona offesa, da parte dell’imputato, in un atteggiamento gratuitamente astioso e senza che vi fosse stato alcun previo tentativo di relazionarsi con la controparte in modo da preservarne la dignità.
Inammissibile è l’ultimo motivo di ricorso, formulato ancora in maniera assertiva e tutta versata in fatto, essendo da escludere che la partecipazione alla decisione sui lavori condominiali da parte della persona offesa quale sostituto del padre, potesse costituire oggettivamente o anche soltanto soggettivamente per l’imputato un fatto ingiusto al quale reagire per effetto di un giustificato stato d’ira.
Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 1000,00.
In base al principio della soccombenza l’imputato deve essere condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile e liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla Cassa delle Ammende la somma di Euro 1000,00, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in Euro 1800,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2012.