Cassazione Civile, Sezione II, Sentenza 15 dicembre 1999 n. 14088
Quale limite hanno i poteri dell'amministratore in relazione alla conservaione delle cose comuni? Quali in relazione all'esecuzione delle delibere assembleari?
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo BALDASSARRE – Presidente;
Dott. Vincenzo CALFAPIETRA – Consigliere;
Dott. Rafaele CORONA – Rel. Consigliere;
Dott. Giovanni PAOLINI – Consigliere;
Dott. Antonino ELEFANTE – Consigliere;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VA, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA DEL FANTE 2, presso lo studio dell’avvocato P. NAPOLETANO, difeso dall’avvocato SCHENA FRANCESCO PAOLO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
CONDOMINIO…, in persona del suo Amm.re p. t:;
- intimato -
avverso la sentenza n. 1218-96 della Corte d’Appello di BARI, depositata il 21-12-96;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09-06-99 dal Consigliere Dott. Rafaele CORONA;
udito l’Avvocato Francesco Paolo SCHENA, difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Umberto APICE che ha concluso per il rigetto del 1 motivo del ricorso ed accoglimento del 2 motivo.
Fatto
Con citazione 25 ottobre 1991, Antonio VA convenne, davanti al Tribunale di Foggia, il condominio dell’edificio sito nel viale XXIV Maggio 3 del comune di Candela, esponendo quanto segue.
In qualità di amministratore autorizzato dall’assemblea in data 28 gennaio 1989, egli aveva affidato all’architetto Longo l’incarico di riferire sulle cause delle infiltrazioni d’acqua, che si erano verificate nel suo appartamento all’ultimo piano.
Avendo l’assemblea, in data 6 maggio 1989, demandato la scelta dell’impresa edile ad esso amministratore, ad alcuni consiglieri ed a tale Gaetano Russo, proprietario del lastrico da riparare, aveva stipulato con l’impresa Letizia di Candela il contratto relativo ai lavori per l’importo di lire 9.200.000.
Dopo che i lavori avevano avuto inizio, alcuni condomini, i quali prima erano consenzienti, avevano convocato in modo anomalo l’assemblea che, nella riunione del 27 maggio 1989, aveva nominato un nuovo amministratore, aveva invalidato la ricordata delibera del 6 maggio 1989 e nominato un nuovo consulente tecnico, nella persona del geom. Antonio Soldo.
Il 26 maggio 1989, sempre alcuni condomini avevano adito il Pretore ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ.
Tutto ciò premesso, domandò al collegio di dichiarare la nullità o la inefficacia delle delibere in data 27 maggio 1989, 10 giugno 1989 e 22 giugno 1989, nonché di quelle successive e conseguenziali, sul presupposto che gli avvisi di convocazione non erano stati recapitati a tutti i condomini e nei termini prescritti; che l’assemblea 27 maggio 1989 era stata tenuta in un luogo diverso da quello in cui era stata convocata; che l’assemblea doveva essere convocata dall’amministratore in carica e non dai condomini dissenzienti e che la nomina dell’amministratore non era stata approvata con la maggioranza di legge. Domandò, altresì, la condanna del condominio ad eseguire i lavori di ripristino del solaio.
Il condominio si costituì chiese il rigetto delle pretese avverse.
Contestò la nullità o la inefficacia delle delibere 10 e 22 giugno 1989 e la richiesta di condanna del condominio alla esecuzione dei lavori; in via riconvenzionale, domandò la condanna dell’attore al ripristino dello stato dei luoghi ed al pagamento delle spese per la rimozione del pavimento del terrazzo.
Il Tribunale di Foggia, con sentenza 13 maggio – 20 giugno 1994, accolse la domanda, dichiarò la nullità delle tre delibere e respinse la riconvenzionale, sul presupposto che la pavimentazione del terrazzo dovesse essere comunque eseguita.
Pronunziando sul gravame proposto dal Condominio e sull’appello incidentale proposto da Antonio VA, con sentenza 30 novembre – 21 dicembre 1996, la Corte d’Appello di Foggia, dichiarò la nullità della delibera 27 maggio 1989 e la validità e l’efficacia delle delibere 10 e 22 giugno 1989; respinse la domanda di risarcimento dei danni proposta da VA e, accogliendo la domanda riconvenzionale formulata dal condominio, condannò Antonio VA ad eseguire le opere di rifacimento del pavimento del terrazzo soprastante il suo appartamento; compensò integralmente le spese.
Ricorre per cassazione Antonio VA con due motivi; non spiega attività difensiva l’intimato condominio.
Diritto
1.- A fondamento del ricorso, il ricorrente deduce: 1.1 Violazione e falsa applicazione della normativa in materia di capacità dell’amministratore condominiale a stare in giudizio in nome e per conto del condominio (art. 75, 81, 99 e 100 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1130 e 1131 cod. civ.).
Avendo l’amministratore Fede investito l’assemblea della decisione di proporre o no appello contro la sentenza del Tribunale, solo sette condomini, rappresentanti 458 millesimi, avevano dichiarato di costituirsi in minoranza e di voler proseguire il giudizio con l’appello. Rimettendosi alle decisioni dell’assemblea, l’amministratore aveva volontariamente rinunziato al diritto di azione autonoma. 1.2 Violazione e falsa applicazione della normativa prevista dall’art. 112 cod. proc. civ. in materia di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato.
Contrariamente a quanto ritiene la Corte d’Appello – secondo cui a fondamento della domanda l’attore avrebbe dedotto la infiltrazione di acque meteoriche – Antonio VA non aveva mai espresso una sua opinione sulle cause degli inconvenienti, che si erano verificati nel suo appartamento. Egli si era limitato a chiedere la condanna alla esecuzione dei lavori necessari per rimediare ai pregiudizi denunziati. Pertanto, il Tribunale aveva fondato la sua decisione i fatti allegati e dedotti dalle parti e, quindi, non aveva violato il disposto dell’art. 112 cod. proc. civ. 2.1 Il primo motivo non può essere accolto.
È risaputo che l’amministratore del condominio è legittimato, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad agire in giudizio nei confronti dei singoli condomini e dei terzi al fine di: a) eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini; b) disciplinare l’uso delle cose comuni così da assicurare il godimento a tutti i partecipanti al condominio; c) riscuotere dai condomini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea; d) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio (Cass., Sez. II, 24 settembre 1997, n. 9378; Cass., Sez. II, 22 novembre 1990, n. 11272).
Alla luce del principio esposto, non sussiste il difetto di legittimazione dell’amministratore del condominio, in quanto dagli atti non risulta che l’amministratore abbia rinunziato alle sue attribuzioni.
La Suprema Corte, dall’esame degli atti – reso necessario dalla denunzia di un errore in procedendo – ha verificato che all’assemblea l’amministratore non aveva demandato la decisione intorno alla proposizione o non dell’azione giudiziaria, ma aveva chiesto soltanto di esprimere un parere (non vincolante) circa l’opportunità di intraprendere l’impugnazione. Pertanto, la prospettata rinunzia da parte dell’amministratore alle attribuzioni stabilite dalla legge non trova riscontro nei dati di causa. 2.2 Deve essere accolto, invece, il secondo motivo.
Nella qualificazione della domanda, il giudice del merito deve tener conto del contenuto sostanziale della pretesa, desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalla eventuali precisazioni formulate nel corso dei giudizio, nonché del provvedimento richiesto in concreto, senza altri limiti che quello di rispettare il principio della corrispondenza della pronunzia alla richiesta e di non sostituire una azione diversa da quella proposta (Cass. Sez. Lav., 19 gennaio 1998, n. 424), ovvero di introdurre un diverso titolo rispetto a quello posto a fondamento della domanda e un nuovo tema di indagine (Cass., Sez. Lav., 20 novembre 1998, n. 11753).
Orbene, dagli atti processuali risulta che Antonio VA, in prime cure, chiese un accertamento tecnico preventivo per appurare le cause, che avevano cagionato le infiltrazioni di acqua nel soffitto del suo appartamento. Il consulente elencò una serie di lavori indispensabili per eliminare gli inconvenienti, configurati dalla umidità dovuta al noto fenomeno della condensa negli ambienti domestici, causato, tra l’altro, dal difettoso isolamento termico della copertura, per cui in corrispondenza dei travetti si depositava il vapore d’acqua presente nell’aria. con la citazione introduttiva del giudizio di merito, Antonio VA domandò la condanna del condominio ad eseguire i lavori di ripristino, ritenuti necessari dall’accertamento tecnico preventivo.
Il condominio, costituendosi in giudizio, contestò che gli inconvenienti fossero determinati dalla infiltrazione di acqua piovana, come dedotto dall’attore, essendo stati determinati – secondo quanto aveva affermato il consulente – dal fenomeno della condensa. In conclusioni, Antonio VA chiese la condanna del condominio alla esecuzione dei lavori necessari per eliminare gli inconvenienti.
Il Tribunale, pertanto, non è incorso nel divieto di sostituire l’azione proposta con una azione diversa, perché fondata su fatti differenti o su una dissimile causa petendi, con la conseguente introduzione di un diverso titolo rispetto a quello posto a fondamento della domanda.
Per la verità l’attore, fin dall’origine, come causa petendi a fondamento della domanda proposta, aveva addotto la lesione del suo diritto di proprietÈ. È pur vero che egli aveva indicato, quale ragione immediata dei pregiudizi, le infiltrazioni dell’acqua piovana ma, in seguito agli accertamenti ed alle valutazioni del consulente tecnico, a sostegno della richiesta di condanna del condominio al rifacimento della copertura, aveva allegato una diversa origine degli inconvenienti denunziati, senza immutare tuttavia la causa petendi, configurata sempre dalla lesione del diritto di proprietà. Il Tribunale, perciò, ha accolto la domanda di condanna al ripristino del solaio, fondata sulla lesione dell’altrui diritto di proprietà, limitandosi a determinare il fatto lesivo immediato secondo le risultanze di causa.
Non sussiste, dunque, violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato se, relativamente ad una domanda di condanna all’esecuzione dei lavori di ripristino del soffitto di un appartamento sito all’ultimo piano dell’edificio, fondata sulla lesione del diritto di proprietà – configurata in concreto dai pregiudizi cagionati al soffitto dall’umidità – il giudice, in seguito agli accertamenti compiuti dal consulente tecnico ed alle precisazioni ed alle istanze formulate dalle parti in corso di causa, pronunzi la condanna alla esecuzione dei lavori necessari per eliminare l’umidità determinata non dalle infiltrazioni d’acqua provenienti dal solaio di copertura, ma dalla condensa connessa al difettoso isolamento termico del solaio: la causa petendi, infatti, in ogni caso consiste nella lesione recata al diritto di proprietà. 3.- Rigettato il primo motivo di ricorso ed accolto il secondo, la Corte deve cassare la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviare la causa davanti ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari, che pronunzierà anche sulle spese del giudizio di legittimità attenendosi al principio di diritto esposto sopra.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari.
Roma, 9 giugno 1999.