Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, Sentenza 27 marzo 2013, n. 7759
Può il compratore rifiutarsi di adempiere se l'immobile è lievemente differente da quanto riportato al catasto? Di cosa deve tener conto il giudice per decidere?
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente
Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere
Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS) e (OMISSIS), n. a (OMISSIS) residenti in (OMISSIS), rappresentati e difesi per procura in calce al ricorso dagli Avvocati (OMISSIS) e prof. (OMISSIS), elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS);
- ricorrente -
contro
(OMISSIS), n. a (OMISSIS) in proprio e quale procuratrice generale del padre (OMISSIS) in forza di procura del (OMISSIS) a mezzo del notaio di (OMISSIS) dott. (OMISSIS), rep. n. (OMISSIS), rappresentata e difesa per procura a margine del controricorso dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima in (OMISSIS);
- controricorrente -
e
(OMISSIS);
- intimata -
avverso la sentenza n. 638 della Corte di appello di Brescia, depositata l’11 luglio 2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30 gennaio 2013 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;
udite le difese svolte dall’Avv. (OMISSIS) per i ricorrenti e dall’avv. (OMISSIS) per la controricorrente;
udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 1993 (OMISSIS), premesso di avere stipulato, assieme al padre (OMISSIS), in data (OMISSIS), con (OMISSIS) e (OMISSIS) un contratto preliminare per l’acquisto di un immobile, versando dapprima una caparra confirmatoria di lire 20.000.000 e poi un acconto di lire 80.000.000, e di avere successivamente scoperto che il muro perimetrale della cantina e dell’autorimessa erano stati modificati, tanto che lo stato del bene divergeva dalla planimetria catastale allegata al preliminare, convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Cremona i promittenti venditori chiedendo che il bene, previa sua regolarizzazione, le fosse trasferito ai sensi dell’articolo 2932 cod. civ. ovvero il contratto fosse dichiarato risolto per inadempimento dei convenuti, con loro condanna alla restituzione del doppio della caparra e dell’acconto versato. I (OMISSIS) si opposero alla domanda e, assumendo che la controparte si era rifiutata senza giustificato motivo di stipulare il contratto definitivo dinanzi al notaio, chiesero in via riconvenzionale che il contratto fosse risolto per inadempimento dell’attrice, con rifusione dei danni subiti. Intervenne in giudizio (OMISSIS) che, in qualita’ di promissario acquirente del bene, fece proprie le domande avanzate dall’attrice. In corso di causa i convenuti, ottenuta la regolarizzazione amministrativa dell’immobile, lo vendettero a (OMISSIS) e (OMISSIS). A seguito della richiesta di sequestro giudiziario del bene avanzato dagli attori intervenne in giudizio (OMISSIS), eccependo la propria buona fede e la validita’ del proprio acquisto, atteso che la domanda di adempimento proposta dalla (OMISSIS) era stata trascritta, per errore, su un bene diverso.
Esaurita l’istruttoria, il Tribunale accolse la domanda degli attori di risoluzione del contratto e condanno’ i convenuti al pagamento del somma di euro 20.658,28, pari al doppio della caparra, e della ulteriore somma di euro 41.316,55, oltre accessori, a titolo di restituzione dell’ulteriore acconto sul prezzo.
Interposto gravame principale da parte dei (OMISSIS) ed incidentale da parte di (OMISSIS), con sentenza n. 638 del l’11 luglio 2006 la Corte di appello di Brescia confermo’ la sentenza impugnata, tranne che per la regolamentazione delle spese relative a (OMISSIS), di cui accolse l’appello incidentale. Per quanto qui ancora interessa, la Corte bresciana affermo’ che legittimamente i promissari acquirenti si erano rifiutati di addivenire alla stipula del contratto definitivo dinanzi al notaio, attesa che l’irregolarita’ edilizia del bene, peraltro negata in tale sede dalla controparte, lo rendeva difforme da quello indicato nel preliminare, a nulla rilevando che tale abuso fosse di modesta entita’ e fosse stato successivamente regolarizzato con una semplice autorizzazione in sanatoria mediante il pagamento di una sanzione di lire 500.000, atteso che essi non potevano conoscere in anticipo l’esito della relativa pratica amministrativa, peraltro attivata dai promittenti venditori solo successivamente al fallimento della trattativa, aggiungendo che la successiva vendita del bene a terzi aveva reso impossibile il trasferimento in loro favore dell’immobile.
Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 31 gennaio 2007, ricorrono (OMISSIS) e (OMISSIS), affidandosi a quattro motivi. Resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre (OMISSIS) non ha svolto attivita’ difensiva.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione della Legge n. 47 del 1985, articoli 10, 26 e 40 censurando l’affermazione della sentenza impugnata che, attesa la difformita’ del bene, ha ritenuto legittimo il rifiuto dei promissari acquirenti alla stipula del contratto definitivo non potendo essi conoscere in anticipo l’agevole sanabilita’ in via amministrativa dell’abuso, per il quale al momento non risultava nemmeno presentata istanza di regolarizzazione. Sostengono al contrario i ricorrenti che tale previsione circa la facile regolarizzazione della difformita’ riscontrata era invece chiaramente evincibile dalla normativa edilizia che, con riferimento a tale tipo di abusi, prevedeva la loro regolarizzazione in via amministrativa e non poneva alcun limite alla commerciabilita’ del bene. Il giudice a quo non avrebbe pertanto potuto ritenere che tale difformita’ dava luogo ad un inadempimento dei promettenti vendit
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente
Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere
Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS) e (OMISSIS), n. a (OMISSIS) residenti in (OMISSIS), rappresentati e difesi per procura in calce al ricorso dagli Avvocati (OMISSIS) e prof. (OMISSIS), elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS);
- ricorrente -
contro
(OMISSIS), n. a (OMISSIS) in proprio e quale procuratrice generale del padre (OMISSIS) in forza di procura del (OMISSIS) a mezzo del notaio di (OMISSIS) dott. (OMISSIS), rep. n. (OMISSIS), rappresentata e difesa per procura a margine del controricorso dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima in (OMISSIS);
- controricorrente -
e
(OMISSIS);
- intimata -
avverso la sentenza n. 638 della Corte di appello di Brescia, depositata l’11 luglio 2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30 gennaio 2013 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;
udite le difese svolte dall’Avv. (OMISSIS) per i ricorrenti e dall’avv. (OMISSIS) per la controricorrente;
udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 1993 (OMISSIS), premesso di avere stipulato, assieme al padre (OMISSIS), in data (OMISSIS), con (OMISSIS) e (OMISSIS) un contratto preliminare per l’acquisto di un immobile, versando dapprima una caparra confirmatoria di lire 20.000.000 e poi un acconto di lire 80.000.000, e di avere successivamente scoperto che il muro perimetrale della cantina e dell’autorimessa erano stati modificati, tanto che lo stato del bene divergeva dalla planimetria catastale allegata al preliminare, convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Cremona i promittenti venditori chiedendo che il bene, previa sua regolarizzazione, le fosse trasferito ai sensi dell’articolo 2932 cod. civ. ovvero il contratto fosse dichiarato risolto per inadempimento dei convenuti, con loro condanna alla restituzione del doppio della caparra e dell’acconto versato. I (OMISSIS) si opposero alla domanda e, assumendo che la controparte si era rifiutata senza giustificato motivo di stipulare il contratto definitivo dinanzi al notaio, chiesero in via riconvenzionale che il contratto fosse risolto per inadempimento dell’attrice, con rifusione dei danni subiti. Intervenne in giudizio (OMISSIS) che, in qualita’ di promissario acquirente del bene, fece proprie le domande avanzate dall’attrice. In corso di causa i convenuti, ottenuta la regolarizzazione amministrativa dell’immobile, lo vendettero a (OMISSIS) e (OMISSIS). A seguito della richiesta di sequestro giudiziario del bene avanzato dagli attori intervenne in giudizio (OMISSIS), eccependo la propria buona fede e la validita’ del proprio acquisto, atteso che la domanda di adempimento proposta dalla (OMISSIS) era stata trascritta, per errore, su un bene diverso.
Esaurita l’istruttoria, il Tribunale accolse la domanda degli attori di risoluzione del contratto e condanno’ i convenuti al pagamento del somma di euro 20.658,28, pari al doppio della caparra, e della ulteriore somma di euro 41.316,55, oltre accessori, a titolo di restituzione dell’ulteriore acconto sul prezzo.
Interposto gravame principale da parte dei (OMISSIS) ed incidentale da parte di (OMISSIS), con sentenza n. 638 del l’11 luglio 2006 la Corte di appello di Brescia confermo’ la sentenza impugnata, tranne che per la regolamentazione delle spese relative a (OMISSIS), di cui accolse l’appello incidentale. Per quanto qui ancora interessa, la Corte bresciana affermo’ che legittimamente i promissari acquirenti si erano rifiutati di addivenire alla stipula del contratto definitivo dinanzi al notaio, attesa che l’irregolarita’ edilizia del bene, peraltro negata in tale sede dalla controparte, lo rendeva difforme da quello indicato nel preliminare, a nulla rilevando che tale abuso fosse di modesta entita’ e fosse stato successivamente regolarizzato con una semplice autorizzazione in sanatoria mediante il pagamento di una sanzione di lire 500.000, atteso che essi non potevano conoscere in anticipo l’esito della relativa pratica amministrativa, peraltro attivata dai promittenti venditori solo successivamente al fallimento della trattativa, aggiungendo che la successiva vendita del bene a terzi aveva reso impossibile il trasferimento in loro favore dell’immobile.
Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 31 gennaio 2007, ricorrono (OMISSIS) e (OMISSIS), affidandosi a quattro motivi. Resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre (OMISSIS) non ha svolto attivita’ difensiva.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione della Legge n. 47 del 1985, articoli 10, 26 e 40 censurando l’affermazione della sentenza impugnata che, attesa la difformita’ del bene, ha ritenuto legittimo il rifiuto dei promissari acquirenti alla stipula del contratto definitivo non potendo essi conoscere in anticipo l’agevole sanabilita’ in via amministrativa dell’abuso, per il quale al momento non risultava nemmeno presentata istanza di regolarizzazione. Sostengono al contrario i ricorrenti che tale previsione circa la facile regolarizzazione della difformita’ riscontrata era invece chiaramente evincibile dalla normativa edilizia che, con riferimento a tale tipo di abusi, prevedeva la loro regolarizzazione in via amministrativa e non poneva alcun limite alla commerciabilita’ del bene. Il giudice a quo non avrebbe pertanto potuto ritenere che tale difformita’ dava luogo ad un inadempimento dei promettenti venditori cosi’ grave da giustificare il rifiuto dell’altra parte alla stipulazione del contratto definitivo.
Il secondo motivo di ricorso, nel denunziare violazione e falsa applicazione degli articoli 1453, 1455 e 1460 cod. civ., lamenta che la Corte di appello, pur espressamente riconoscendo che l’abuso di cui trattasi era di modesta entita’, abbia ritenuto giustificata l’eccezione di inadempimento della controparte, omettendo qualsiasi valutazione in ordine alla gravita’ dell’inadempimento denunziato.
I due motivi, che vanno trattati congiuntamente in virtu’ della loro connessione obiettiva, sono fondati.
La Corte di appello di Brescia, nel valutare comparativamente il comportamento delle parti nella vicenda contrattuale per cui e’ causa, ha affermato che legittimamente i (OMISSIS), promissari acquirenti, si erano rifiutati di presentarsi dinanzi al notaio per la stipula dell’atto pubblico di vendita dal momento che nell’immobile compromesso risultava presente una irregolarita’ edilizia, aggiungendo che non rivestiva alcuna rilevanza il fatto che l’abuso fosse modesto e sanabile con una semplice autorizzazione in sanatoria ed il pagamento di una sanzione di scarsa entita’, non potendo gli acquirenti conoscere in anticipo tale possibilita’ di regolarizzazione ed avendo essi comunque “diritto a vedersi consegnato un bene che sia conforme allo strumento urbanistico”. Dall’esposizione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata e nel ricorso risulta in particolare che l’abuso lamentato consisteva in un diverso posizionamento, rispetto alla planimetria catastale, del tramezzo divisorio tra la cantina ed il garage, locali di proprieta’ dei promittenti venditori e facenti parte, insieme all’appartamento, dell’oggetto del preliminare di vendita. Cio’ precisato, il ragionamento svolto dalla sentenza di appello non merita di essere condiviso, atteso che la Corte omette completamente di valutare uno dei punti fondamentali su cui si incentra la figura dell’eccezione di inadempimento, rappresentato dal fatto che il rifiuto da parte del contraente di adempiere la propria obbligazione, quale esercizio di autotutela privata, per essere qualificato legittimo, e quindi non arbitrario e non abusivo, non deve essere contrario a buona fede, condizione che e’ riscontrabile soltanto laddove l’inadempimento dell’altra parte, avuto riguardo all’interesse di chi solleva l’eccezione, non possa essere considerato di scarsa importanza, sostanziandosi esso in una irregolarita’ o divergenza della prestazione rispetto a quella pattuita tale da alterare in modo significativo il sinallagma contrattuale. Sul tema questa Corte ha avuto modo di ripetere che, nel caso in cui venga sollevata eccezione di inadempimento, il giudice e’ chiamato a svolgere una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, avendo riguardo anche allo loro proporzionalita’ rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, con l’effetto che qualora rilevi che l’inadempimento della parte nei cui confronti e’ opposta l’eccezione non e’ grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’articolo 1455 cod. civ., deve ritenersi che il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell’articolo 1460 c.c., comma 2, (Cass. n. 15769 del 2009; Cass. n. 11430 del 2006; Cass. n. 8880 del 2000).
Nel caso di specie la valutazione circa la gravita’ dell’inadempimento ascritto ai promittenti venditori non e’ stata invece condotta in modo appropriato dalla Corte di merito, che ha sul punto svolto considerazioni non lineari e contrastanti rispetto al parametro normativo posto dall’articolo 1460 cod. civ.. Da un lato, infatti, la Corte bresciana riconosce la modestia dell’abuso e la sua agevole sanabilita’, circostanza che evidentemente dovrebbe portare a ritenere di scarsa importanza la divergenza denunziata; dall’altro l’affermazione, certamente esatta, secondo cui l’acquirente di un immobile ha diritto di ricevere un bene conforme allo strumento urbanistico appare spinta fino alla conseguenza, questa non condivisibile, che qualsiasi irregolarita’, anche se lieve ed agevolmente sanabile, giustificherebbe il rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo di trasferimento della proprieta’, aprendo la strada al rimedio della risoluzione del contratto, il che significa disapplicare completamente il criterio valutativo della buona fede imposto dalla disposizione in argomento.
Non convincente, sul piano sia motivazionale che dell’applicazione del diritto, e’ anche l’osservazione della Corte distrettuale circa la ritenuta impossibilita’, per i promissari acquirenti, di conoscere in anticipo il favorevole esito della pratica di regolarizzazione amministrativa dell’immobile, circostanza che viene dedotta come fatto idoneo a giustificare l’eccezione di inadempimento, mentre la dedotta ignoranza sul punto avrebbe dovuto, in una corretta comparazione dei comportamenti delle parti, essere esaminata ed apprezzata anche sotto il diverso profilo del dovere della parte di comportarsi secondo buona fede, cioe’, nello specifico, del dovere della parte di informarsi, prima di adottare iniziative tal da porre a rischio l’esecuzione del contratto, circa la reale ed effettiva entita’ della difformita’ edilizia riscontrata.
Per queste ragioni la valutazione operata dal giudice di merito non appare conforme al parametro normativo di cui all’articolo 1460 c.c., comma 2, secondo cui l’eccezione di inadempimento deve trovare giustificazione nel legame di corrispettivita’ tra le prestazioni e quindi nella non scarsa importanza dell’inadempimento imputato alla controparte.
Gli altri motivi di ricorso, che, denunziando vizi di motivazione, investono aspetti logicamente dipendenti dalla questione affrontata con i due primi motivi, si dichiarano assorbiti.
La sentenza va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia, che si atterra’, nel deciderla, ai principi di diritto sopra indicati e provvedera’ anche alla liquidazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Brescia, anche per la liquidazione delle spese di giudizio.
ori cosi’ grave da giustificare il rifiuto dell’altra parte alla stipulazione del contratto definitivo.
Il secondo motivo di ricorso, nel denunziare violazione e falsa applicazione degli articoli 1453, 1455 e 1460 cod. civ., lamenta che la Corte di appello, pur espressamente riconoscendo che l’abuso di cui trattasi era di modesta entita’, abbia ritenuto giustificata l’eccezione di inadempimento della controparte, omettendo qualsiasi valutazione in ordine alla gravita’ dell’inadempimento denunziato.
I due motivi, che vanno trattati congiuntamente in virtu’ della loro connessione obiettiva, sono fondati.
La Corte di appello di Brescia, nel valutare comparativamente il comportamento delle parti nella vicenda contrattuale per cui e’ causa, ha affermato che legittimamente i (OMISSIS), promissari acquirenti, si erano rifiutati di presentarsi dinanzi al notaio per la stipula dell’atto pubblico di vendita dal momento che nell’immobile compromesso risultava presente una irregolarita’ edilizia, aggiungendo che non rivestiva alcuna rilevanza il fatto che l’abuso fosse modesto e sanabile con una semplice autorizzazione in sanatoria ed il pagamento di una sanzione di scarsa entita’, non potendo gli acquirenti conoscere in anticipo tale possibilita’ di regolarizzazione ed avendo essi comunque “diritto a vedersi consegnato un bene che sia conforme allo strumento urbanistico”. Dall’esposizione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata e nel ricorso risulta in particolare che l’abuso lamentato consisteva in un diverso posizionamento, rispetto alla planimetria catastale, del tramezzo divisorio tra la cantina ed il garage, locali di proprieta’ dei promittenti venditori e facenti parte, insieme all’appartamento, dell’oggetto del preliminare di vendita. Cio’ precisato, il ragionamento svolto dalla sentenza di appello non merita di essere condiviso, atteso che la Corte omette completamente di valutare uno dei punti fondamentali su cui si incentra la figura dell’eccezione di inadempimento, rappresentato dal fatto che il rifiuto da parte del contraente di adempiere la propria obbligazione, quale esercizio di autotutela privata, per essere qualificato legittimo, e quindi non arbitrario e non abusivo, non deve essere contrario a buona fede, condizione che e’ riscontrabile soltanto laddove l’inadempimento dell’altra parte, avuto riguardo all’interesse di chi solleva l’eccezione, non possa essere considerato di scarsa importanza, sostanziandosi esso in una irregolarita’ o divergenza della prestazione rispetto a quella pattuita tale da alterare in modo significativo il sinallagma contrattuale. Sul tema questa Corte ha avuto modo di ripetere che, nel caso in cui venga sollevata eccezione di inadempimento, il giudice e’ chiamato a svolgere una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, avendo riguardo anche allo loro proporzionalita’ rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, con l’effetto che qualora rilevi che l’inadempimento della parte nei cui confronti e’ opposta l’eccezione non e’ grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’articolo 1455 cod. civ., deve ritenersi che il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell’articolo 1460 c.c., comma 2, (Cass. n. 15769 del 2009; Cass. n. 11430 del 2006; Cass. n. 8880 del 2000).
Nel caso di specie la valutazione circa la gravita’ dell’inadempimento ascritto ai promittenti venditori non e’ stata invece condotta in modo appropriato dalla Corte di merito, che ha sul punto svolto considerazioni non lineari e contrastanti rispetto al parametro normativo posto dall’articolo 1460 cod. civ.. Da un lato, infatti, la Corte bresciana riconosce la modestia dell’abuso e la sua agevole sanabilita’, circostanza che evidentemente dovrebbe portare a ritenere di scarsa importanza la divergenza denunziata; dall’altro l’affermazione, certamente esatta, secondo cui l’acquirente di un immobile ha diritto di ricevere un bene conforme allo strumento urbanistico appare spinta fino alla conseguenza, questa non condivisibile, che qualsiasi irregolarita’, anche se lieve ed agevolmente sanabile, giustificherebbe il rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo di trasferimento della proprieta’, aprendo la strada al rimedio della risoluzione del contratto, il che significa disapplicare completamente il criterio valutativo della buona fede imposto dalla disposizione in argomento.
Non convincente, sul piano sia motivazionale che dell’applicazione del diritto, e’ anche l’osservazione della Corte distrettuale circa la ritenuta impossibilita’, per i promissari acquirenti, di conoscere in anticipo il favorevole esito della pratica di regolarizzazione amministrativa dell’immobile, circostanza che viene dedotta come fatto idoneo a giustificare l’eccezione di inadempimento, mentre la dedotta ignoranza sul punto avrebbe dovuto, in una corretta comparazione dei comportamenti delle parti, essere esaminata ed apprezzata anche sotto il diverso profilo del dovere della parte di comportarsi secondo buona fede, cioe’, nello specifico, del dovere della parte di informarsi, prima di adottare iniziative tal da porre a rischio l’esecuzione del contratto, circa la reale ed effettiva entita’ della difformita’ edilizia riscontrata.
Per queste ragioni la valutazione operata dal giudice di merito non appare conforme al parametro normativo di cui all’articolo 1460 c.c., comma 2, secondo cui l’eccezione di inadempimento deve trovare giustificazione nel legame di corrispettivita’ tra le prestazioni e quindi nella non scarsa importanza dell’inadempimento imputato alla controparte.
Gli altri motivi di ricorso, che, denunziando vizi di motivazione, investono aspetti logicamente dipendenti dalla questione affrontata con i due primi motivi, si dichiarano assorbiti.
La sentenza va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia, che si atterra’, nel deciderla, ai principi di diritto sopra indicati e provvedera’ anche alla liquidazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Brescia, anche per la liquidazione delle spese di giudizio.