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Federproprietà AbruzzoLegittimazione ProcessualeCassazione Civile, Sezione II, Sentenza 20 aprile 2005 n. 8286

Cassazione Civile, Sezione II, Sentenza 20 aprile 2005 n. 8286

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Franco PONTORIERI – Presidente - Dott. Giandonato NAPOLETANO – Consigliere - Dott. Vincenzo COLARUSSO – Rel. […]

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Franco PONTORIERI – Presidente -
Dott. Giandonato NAPOLETANO – Consigliere -
Dott. Vincenzo COLARUSSO – Rel. Consigliere -
Dott. Giovanni SETTIMJ – Consigliere -
Dott. Giancarlo TRECAPELLI – Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.L. K.G. elettivamente domiciliati in ROMA VLE MAZZINI 120, presso lo studio OVOLI & CANALI, difesi dall’avvocato MAURIZIO CECCONI, giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro

CONDOMINIO via ROMA, in persona dell’Amm.re A.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA F MICHELINI TOCCI 50, presso lo studio dell’avvocato CARLO VISCONTI, che lo difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

nonché contro

M.E.

- intimata -

avverso la sentenza n. 3002/00 della Corte d’Appello di ROMA, depositata il 04/10/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/01/05 dal Consigliere Dott. Vincenzo COLARUSSO;
udito l’Avvocato VISCONTI Carlo, difensore del Condominio, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio GOLIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

S.L., K.G. e M.E. impugnarono innanzi al Tribunale di Roma la delibera presa in data 15.11.1995 dall’Assemblea del Condominio di via in Roma, con la quale si era decisa la installazione dell’ascensore.

Il Tribunale, accogliendo le opposizioni, con due diverse sentenze del 29 e 30 maggio 97, dichiarò la nullità della delibera limitatamente alla decisione di installazione dell’ascensore, posta al punto 4 dell’o.d.g., sul presupposto che, in quella sede, era stata anche autorizzata la modifica dell’androne con l’apertura di una porta di accesso accanto al locale portineria che non era stata inserita nell’o.d.g..

Entrambe le sentenze furono impugnate dal Condominio – la prima, del 29 maggio, contro M.E. e la seconda, del 30 maggio, contro S.L. e K.G. I due appelli vennero riuniti e la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 3002/200 pubblicata il 4.10.2000, in riforma di quella del Tribunale, respinse le impugnazioni proposte avverso la delibera 15.11.1995 relativamente al punto 4 all’o.d.g. e condannò gli appellati alle spese.

La sentenza della Corte di Appello di Roma di basa sui seguenti rilievi:

a) non occorreva mettere all’o.d.g. la specifica previsione di apertura della porta di accesso accanto al locale portineria trattandosi di opera che rientrava implicitamente tra quelle necessariamente comprese nella realizzazione dell’opera primaria;

b) che la installazione dell’ascensore costituiva un’opera diretta alla eliminazione delle barriere architettoniche e, come tale, era stata approvata con la maggioranza prescritta (626 millesimi dell’intero);

c) che l’apertura della porta nell’androne, accanto alla portineria, non costituiva innovazione vietata né ai sensi dell’art. 1120 c. 2 cc né ai sensi dell’art. 4 del Regolamento di condominio essendovi stato il consenso dell’assemblea previsto in detta norma;

d) di nessun rilievo era la mancata menzione nella delibera della legge 13/89.

Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione S.L. e K.G. con tre motivi.

Resiste il Condominio con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

Col primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1130 e 1131 cc. e 75 c.p.c.; omessa motivazione su un punto decisivo della controversia; nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Si assume che in secondo grado gli appellati avevano eccepito il difetto di rappresentanza processuale dell’amministratore e proporre appello per mancata autorizzazione dell’assemblea e che, peraltro, l’amministratore non poteva stare in giudizio essendo venuto meno il presupposto per la esecuzione della delibera in quanto la condomina V. aveva revocato il suo consenso all’apertura della porta, necessaria per la installazione dell’ascensore. Su tali questioni la Corte di Appello aveva omesso di motivare.

Il motivo non è fondato.

La questione della legittimazione dell’amministratore sotto il profilo della mancata autorizzazione da parte dell’assemblea a proporre appello non è fondata.

Essa, sebbene proposta per la prima volta in questa sede, deve essere comunque affrontata in quanto attinente alla legittimazione del soggetto impugnante, che è rilevabile di ufficio dal giudice.

Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, spetta all’amministratore del condominio in via esclusiva la legittimazione passiva a resistere nei giudizi promossi dai condomini per l’annullamento delle delibere assembleari (Cass. 12379/92; Cass. 12204/97; Cass. 13331/2000) con la conseguenza che, nei casi in cui egli può resistere in giudizio, è anche legittimato a proporre impugnazione, nel caso di soccombenza del condominio da lui rappresentato, senza necessità di alcuna autorizzazione da parte dell’assemblea (Cass. 7474/97; Cass. 3773/2001).

La mancata revoca della delibera oggetto di impugnativa nonché la mancata adesione della controparte alle pretese dei condomini che l’avevano impugnata non consentivano di ritenere cessata la materia del contendere. La Corte di Appello ha anche affermato, senza essere censurata sul punto, che i ricorrenti non avevano interesse a sostenere la ragioni della condomina V. di tal che anche la seconda ragione addotta dai ricorrenti a sostegno dell’assunto di inammissibilità dell’appello deve ritenersi priva di fondamento.

Col secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 1105 cc.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1120, 1136 e 1139 cc.; insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla eccepita mancata indicazione nell’ordine del giorno delle modifiche strutturali e destinazioni d’uso necessarie per l’attuazione della delibera di installazione dell’ascensore, sia per quanto riguardava l’apertura della porta sia, soprattutto, per altre opere e modificazioni che non potevano essere arguite né conosciute dai condomini né ritenersi implicite nell’argomento posto all’ordine del giorno.

Il motivo non è fondato.

La sentenza non fa menzione di altre opere ed implicazioni oltre all’apertura della porta di accesso accanto al locale portineria (soppressione di almeno un posto auto, eliminazione delle due finestre poste sulla rampa scale, passaggio dell’ascensore in immediata prossimità dei balconi e delle camere da letto) né tali opere risultano essere state deliberate come non risulta la soppressione del posto macchina. Anche per quanto concerne, poi, i punti di transito dell’ascensore, si tratta di implicazioni ed inconvenienti derivanti dalla installazione dell’impianto, addotti per la prima volta in questa sede per sostenere la incompletezza dell’ordine del giorno e che richiedono indagini di fatto precluse al giudice di legittimità.

Quanto all’apertura della porta, unico fatto che la sentenza indica come necessariamente implicato dalla installazione dell’ascensore, la Corte di Appello, con un percorso argomentativo immune da vizi logici, ha fornito adeguata ragione per ritenerlo implicito nell’ordine del giorno in quanto l’apertura della porta si rendeva necessaria ed era “compresa nella realizzazione dell’opera primaria”. I ricorrenti danno una diversa interpretazione dei fatti (peraltro introducendo, come di è visto, fatti ulteriori e diversi) per quanto riguarda il legame di necessità tra le due cose ma il diverso apprezzamento dei ricorrenti non implica, come è noto, vizio logico della motivazione.

Col terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 2 della legge n. 13/89, degli artt. 1120 e 1136 cc nonché omessa motivazione su punto decisivo. Si deduce, in primo luogo, che l’assemblea aveva deciso di venire incontro ai tre condomini portatori di handicap installando un servo-scala e che tale circostanza non era stata considerata dalla Corte di Appello.

I ricorrenti, di poi, si riferiscono all’art. 1120 cc adombrando che l’installazione dell’ascensore potesse configurata come una innovazione vietata ex art. 1120 c.2 cc ed esplicitamente sostengono che doveva essere raggiunta la maggioranza di cui al comma 5° dell’art. 1136 cc, mentre nella specie i voti favorevoli erano stati pari a 626 millesimi.

Il motivo è infondato sotto tutti i profili dedotti.

Quanto alla installazione del servo-scala (che avrebbe soddisfatto alle esigenze dei condomini disabili), il rilievo è di totale infondatezza.

In primo luogo in servo-scala, come si evince chiaramente dalla lettura coordinata dell’art. 2 delle legge n. 13/89, costituisce un’opera provvisoriamente sostitutiva di quelle definitive previste dalla prima parte dell’articolo e, comunque, la sua installazione non implica rinuncia alla realizzazione degli strumenti considerati nel primo comma come idonei al superamento delle barriere e come tali (nella specie) deliberati o da deliberarsi dall’assemblea. In secondo luogo la delibera di installazione dell’ascensore oggetto di controversia non era stata né revocata né modificata donde la irrilevanza della installazione dell’opera sostitutiva, della quale, peraltro, non vi è menzione nella sentenza di appello.

Quanto alle maggioranze, deve dirsi che, innanzitutto l’installazione dell’ascensore, pur costituendo innovazione, rientra tra quelle previste dal comma 1 dell’art. 2 della legge n. 13/89 come idonee ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’art. 27 comma 1 della legge n. 118/ del 1971 e art. 1, comma 1, del D.P.R. n. 384/78. L’art. 2 c. 1 delle legge 13/89 dispone che per la realizzazione di tali opere, nell’ambito degli edifici condominiali, è sufficiente una maggioranza ridotta, corrispondente a quella previste dall’art. 1136 secondo e terzo comma c.c.. La disposizione in esame, quindi, richiama, quanto alle maggioranze, i soli commi secondo e terzo dell’art. 1136 c.c. e non il comma quinto, il che implica non solo che, per essere derogato il comma primo dell’art. 1120 che lo richiama, il comma quinto è a sua volta derogato e che alle maggioranze in esso previste sono sostituite quelle dell’art.1136 commi secondo e terzo, il cui raggiungimento nel caso di specie, non viene posto in discussione.

I ricorrenti, infine, tentano di far rientrare la installazione dell’ascensore tra le innovazioni vietate di cui al secondo comma dell’art. 1120. le cui disposizioni sono fatte salve dall’art. 2 c. 3 delle legge 13/89.

In proposito il Collegio osserva che la Corte territoriale ha motivatamente escluso la sussistenza della lesione al decoro architettonico del fabbricato collegata alla semplice apertura di un varco nell’androne condominiale, ed ha escluso, sempre in relazione a tale modifica, ogni altro pregiudizio di quelli che la norma in questione prevede come integrativi delle innovazioni vietate in modo assoluto.

I ricorrenti deducono in questa sede come vizio di motivazione la mancata considerazione, ai fini di accertare la ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art., 1120 c. 2 cc., di altri elementi ed aspetti da loro segnalati in appello e non considerati dalla Corte di merito. Si tratta (cfr. pag. 19 del ricorso) della chiusura di due grandi finestre poste sulle scale comuni, del montaggio di una pesante intelaiatura metallica appoggiata al fabbricato, della utilizzazione di parte del cortile comune oggi adibito a parcheggio.

Ebbene con tale deduzione vengono sottoposte inammissibilmente al giudice di legittimità elementi di fatto nuovi che si assumono decisivi senza che sia dimostrato – ma essendo meramente affermato – che essi erano già stati sottoposti a fini difensivi al giudice di appello e da questi non erano stati valutati ed, inoltre, senza dimostrare, come si è detto, che tali eventuali modifiche alle strutture ed ai beni condominiali (oltre all’apertura della porta di accesso al locale di proprietà V. siano state deliberate o siano da porre in connessione con la installazione dell’ascensore.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna dei ricorrenti in solido alle spese, liquidate come nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alle spese che liquida in complessivi euro 1600,00 di cui euro 1500,00 per onorario, oltre spese generali ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma addì 28 gennaio 2005.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 20 APR. 2005.

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